È appena passata la Pasqua ed è passata anche la pasquetta. Come al solito abbiamo passato ore a tavola o in scampagnate a mangiare fino a sentirci male. Troppo cibo, ma anche troppo spesso cibo non "giusto".
Agnelli sono stati portati a camionate dall'Est Europa per unirsi alla sorte di tanti altri di origine nazionale e per finire immolati in nome di una tradizione di cui a molti sfugge il senso.
Ci hanno raccontato che l‘agnello è simbolo di redenzione, di liberazione e di speranza. Ma cosa rimane di tutto questo in animali che vengono da migliaia di chilometri, passando per allevamenti di cui non conosciamo nulla, sottoposti a viaggi estenuanti, venduti in commerci poco trasparenti, messi in offerta nei supermercati dentro vaschette di polistirolo?
Come in molti altri casi nella vita moderna, il fatto di essere in troppi e di lasciarsi trasportare ciecamente dalla pubblicità e dal torpore dell'abitudine, ci conduce lontano da cosa è giusto e da cosa è meglio per la salute nostra e dell'ambiente.
Orazio (Satire I, 1, vv. 106-107) ci intimava "v’è una misura nelle cose; vi sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto".
Per me questa è stata la prima Pasqua senza carne (come lo è stato anche il passato Natale) e questo mi fa sentire meglio nel corpo e nella mente.